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Le notti calde di Las Vegas

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Le pubblicizzano chiamandole lounge, salotti. Sono piscine vietate ai minori di 21 anni, con feste di cui molti parlano: dal sobrio quotidiano New York Times, che ne ha ampiamente scritto, ai giovani delle spiagge di Orange County, la contea ricca e tradizionalmente repubblicana della California, che arrivano qui in massa per dare l’addio al celibato, ai gruppi di ragazze che il venerdì prendono l’aereo da New York.

Le pubblicizzano chiamandole lounge, salotti. Sono piscine vietate ai minori di 21 anni, con feste di cui molti parlano: dal sobrio quotidiano New York Times, che ne ha ampiamente scritto, ai giovani delle spiagge di Orange County, la contea ricca e tradizionalmente repubblicana della California, che arrivano qui in massa per dare l’addio al celibato, ai gruppi di ragazze che il venerdì prendono l’aereo da New York.

Anita Ross (27 anni, borsa di Gucci, occhiali di Chanel, lettura preferita la rivista di pettegolezzi hollywoodiani In Touch) appena può prende con le amiche Noelle e Vanessa il volo JetBlue delle 18.40 dall’aeroporto Jfk, destinazione Vegas. Alle 21.35 sono arrivate. “Andate a giocare?” chiedo. “No, andiamo alle feste in piscina”.

Non sono le classiche piscine degli alberghi. Sono vasche dove non si nuota, non si prende il sole, non ci si rilassa. Vere e proprie diramazioni dei nightclub, però dalle 10 del mattino alle 10 di sera, e con un’atmosfera esagerata. Non solo perché qui siamo in pieno deserto, 40 gradi sono la normalità, ai clienti vengono date in dotazione pezze ghiacciate da passarsi sulla testa per non svenire e c’è personale assunto per spruzzare acqua fredda sugli ospiti e pulire le lenti dei loro occhiali da sole. Qui l’atmosfera è esagerata perché la gente scola bottiglie di Dom Pérignon da 4.200 dollari l’una o di cognac Rémy Martin Louis XIII da 6.075, ballando in acqua. L’uno sopra l’altro al ritmo di un mix di musica rock e hip hop selezionata da dj famosi.

Sempre che ti facciano entrare, perché spesso ci sono file di ore all’ingresso e se non sei abbastanza bello, non sembri Paris Hilton o almeno sua sorella Nicky, non fai la spogliarellista in un night, non sei un vip come i rapper Puff Diddy o Kevin Federline, o semplicemente non hai dai 2 mila ai 5 mila dollari al giorno da spendere per affittare un capanno con schermi al plasma e frigobar con bourbon e tequila, ai party in piscina non entri.

Si perde sempre la camicia, a Las Vegas, e non solo ai tavoli da gioco. Le camicie, sempre firmatissime, si perdono anche alle feste al Tao Beach dell’hotel Venetian, al Moorea dell’hotel Mandalay Bay, al Venus dell’hotel Caesars Palace, al Bare dell’hotel Mirage, ai cosiddetti Rehab della domenica pomeriggio nella piscina dell’albergo Hard Rock e ai Ditch Fridays (che significa “venerdì dove si fa buca dal lavoro”) dell’hotel Palms. In alcune si perdono anche i pezzi di sopra di bikini firmati Louis Vuitton, Burberry o Pucci, perché il topless è permesso, anzi incoraggiato.

Ellen Rozzelle, 24enne che viene dal Colorado con il fidanzato broker, ne esibisce uno esagerato al Moorea Beach. I suoi seni sinceramente rifatti distraggono i giocatori di black jack dell’hotel Mandalay. In effetti, solo una vetrata separa il casinò dalle bagnanti seminude.

Dice Anthony Curtis, il presidente di LasVegasAdvisor.com, un sito locale di viaggi: “Come i nightclub, le feste in piscina sciolgono gli ospiti. Dopo, sono tutti pronti per giocare al casinò”. Di certo sono fatte per concedere appena un paio di ore di sonno a una clientela giovane e danarosa che fa mattina nei locali, si tira su verso le 10 con caraffe di bloody Mary o di vodka e succo di arancia, poi via con i party in vasca.

Nel 2006 Las Vegas, la capitale mondiale del peccato, ha avuto 39 milioni di visitatori (erano stati 21 milioni nel 1990) e più della metà non è venuta per giocare. Nel lungo weekend della Festa del lavoro (da sabato 1° settembre a lunedì 3) sono arrivate oltre 300 mila persone e 201 milioni di dollari non sono stati ricavati dai casinò, ma dai locali. Negli ultimi anni, i club hanno cambiato l’idea che le giovani generazioni hanno di Las Vegas. Vengono qui per i club, il gioco è secondario.

Jason Strauss, 34 anni, è uno dei proprietari del Tao Beach. Già qualche anno fa aveva messo in piedi locali nelle spiagge newyorkesi degli Hamptons e aveva raggiunto la fama perché aveva tra gli ospiti le sorelle miliardarie Hilton, Britney Spears e la figlia dell’ex presidente Bill Clinton, Chelsea. Per inaugurare la piscina-club di Las Vegas si è portato da Londra l’attrice premio Oscar Helen Mirren, che non è esattamente la tipica frequentatrice del Tao Beach. Strauss dice: “L’idea di questo club mi è venuta dai viaggi a Saint-Tropez. Ho voluto creare la piscina lounge all’europea”.

La discendenza sarà pure un po’ Costa Azzurra, un po’ Ibiza, certo anche un po’ Billionaire di Porto Cervo, ma tutto il resto è profondamente America. Tra i clienti ci sono ragazzi con il corpo completamente tatuato come in Miami Ink, il reality show del canale televisivo Tlc, che racconta le avventure di un negozio di tatuaggi di Miami. Tra i dipendenti ci sono “i registi dell’umore” assunti per scaldare l’atmosfera e far sì che gruppi di ragazzi conoscano gruppi di ragazze. Ci sono piogge di banconote da 100 dollari dal cielo e tavoli da gioco, gestiti da croupier bionde, a bordo vasca. Come nei nightclub, anche nelle feste in piscina compaiono le celebrità. Ospitate e pagate per farsi vedere 40 minuti, dire dieci parole al massimo e fare impennare temporaneamente la fama della lounge.

Kalika Mouquin, direttore marketing della piscina topless Bare, dice che il gruppo Light, proprietario del Bare e di nightclub, è riuscito a portare Leonardo DiCaprio. In un capanno per vip, DiCaprio e il suo migliore amico, l’attore Kevin Connolly, hanno mangiato ostriche e bevuto piña colada ghiacciata, facendosi vedere bene dalle bagnanti in topless e dai loro accompagnatori. Kalika non dice quanto hanno pagato Leo, ma da allora la coda di mezzogiorno per entrare al Bare (che vuol dire “nudo”) si è allungata.

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