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Svizzera Rock

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Una piccola altura sovrasta Montreux, sul lago Lemano. Spicca una casa gialla. Balconi stile Liberty, rifiniture d’altri tempi. Eppure, in questo palazzo antico il rock raggiunse uno storico compromesso: nell’angusto sottotetto, negli anni Novanta, arrivò uno stanco Freddie Mercury in fuga dalla pazza folla; nell’altra ala della casa si era rifugiato invece un David Bowie che aveva deciso di scappare dalla sua anima «nera» d’inquietudine.

Una piccola altura sovrasta Montreux, sul lago Lemano. Spicca una casa gialla. Balconi stile Liberty, rifiniture d’altri tempi. Eppure, in questo palazzo antico il rock raggiunse uno storico compromesso: nell’angusto sottotetto, negli anni Novanta, arrivò uno stanco Freddie Mercury in fuga dalla pazza folla; nell’altra ala della casa si era rifugiato invece un David Bowie che aveva deciso di scappare dalla sua anima «nera» d’inquietudine.

Mai sodali nell’arte, i due si ritrovarono così sotto lo stesso elvetico tetto. Bastava abbassare lo sguardo per vedere il Palace, l’albergo dove morì Vladimir Nabokov e fare qualche chilometro per arrivare a Vevey, dove Charlie Chaplin aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita.

L’intima natura rock della Svizzera ama nascondersi. Ma non più di tanto, perché questo angolo di mondo, neutrale e inflessibile per definizione, negli anni ha accolto decine di rockstar, maledette e non. Che qui trovavano pace, buone condizioni fiscali ma soprattutto «una certa stabilità politica e sociale», come nota Yvan Schwab, regista teatrale di Morges, a due passi da Losanna, dove icone del cinema come Audrey Hepburn consumarono il proprio tramonto. Vale a dire: le leggi non cambiano dall’oggi al domani e si sta più tranquilli, ci si sente al sicuro.

La Svizzera che non ti aspetti non è fatta solo di montagne e banche, multinazionali racchiuse in edifici postmoderni o banche dagli inaccessibili caveau. La Svizzera rock ha il corpo bronzeo della statua di Freddie Mercury che squarcia il nitore delle belle giornate sul lago di Montreux; ha il ritmo del celebre jazz festival che da 45 anni richiama nella cittadina lacustre i maggiori artisti (le statue davanti al centro Congressi testimoniano il passaggio, tra gli altri, di Ella Fitzgerald e Ray Charles); ha la vitalità di città come Losanna, in cui capita di incontrare giovani che improvvisano spettacoli circensi per strada.

«Negli anni, la Svizzera ha saputo uscire dai cliché», ammette Pierluigi Orunesu, «figlioccio» di Audrey Hepburn e oggi vivace imprenditore che con l’azienda Eurolactis salva gli asini dall’estinzione e ne commercializza il prezioso latte. Dal quadretto montano, tutto neve e cioccolato, la musica è cambiata: oggi il paese scommette sull’arte, sui laghi, sulla musica e, timidamente, si apre a un modello di Dolce vita stile Cannes o Saint Tropez. «Ma molto lentamente — scherza Corinne Broggi, operatrice turistica di Vevey — perché la discrezione qui resta un valore fondamentale».

Uno come Sergio Marchionne, per dire, non vuole molto chiasso intorno alla sua casa vicino Losanna. Mentre James Mason («Lolita» di Kubrick è uno dei suoi film più famosi), quando era ancora in vita, andava tranquillamente a far la spesa in paese, vicino Vevey. Per non parlare del grande Charlie Chaplin, che aveva investito soldi e energie per promuovere il cinema nella «sua» Vevey, che lo aveva accolto durante l’esilio dall’America maccartista.

Però il governo investe in festival musicali, mostre coraggiose e nelle opere di grandi architetti. Prendiamo la bella e antica Lucerna: accanto alla storica torre medievale che sovrasta il fiume Reuss, svetta l’avveniristico Centro Congressi di Jean Nouvel. Il complesso Museo dei Trasporti è una delle maggiori attrattive europee, mentre l’architetto spagnolo Santiago Calatrava è riuscito a dare un’impronta moderna alla stazione ferroviaria.

Solo a Basilea hanno lavorato architetti come Renzo Piano (ricordiamo l’edificio della Fondation Beyeler a Riehen), Mario Botta (con il Museo Tinguely), Zaha Hadid, Richard Meier, Alvaro Siza, Herzog & de Meuron. Certo, pesa l’influenza di Art Basel, la storica fiera artistica, ma dietro questa spinta alla bellezza rivoluzionaria c’è qualcos’altro. Lo si sente passeggiando per Vevey o Montreux, chiacchierando con la gente. La sensibilità elvetica sta crescendo, ci si allontana dallo stereotipo del «guardiano del tesoro», quel rigore protettivo finanziario che ha fatto la fortuna della Confederazione ma che oggi accusa colpi e critiche, anche a causa della crisi economico-finanziaria mondiale. Rigore che si va stemperando così in una spinta alla crescita culturale, all’evoluzione sociale.

Cambiano gli itinerari: non più solo le grandi stazioni sciistiche che hanno fatto la storia, come Zermatt ma vacanze gastronomiche (per esempio, le rinomate «confiserie» delle città costiere offrono ottimi brunch e inediti prodotti da forno); non più solo chalet in legno ma eleganti appartamenti vista lago. Cambia l’identità delle città e con essa arrivano nuovi stimoli. Nella vivacissima Zurigo non si va più soltanto per cercare i tipici coltellini ma anche per lasciarsi sorprendere dal grande zoo cittadino. Alla magia dei famosi treni panoramici, come il Bernina Express (meglio conosciuto come Trenino Rosso), si affianca la tendenza dei battelli che percorrono i grandi laghi.

La lunga e variopinta storia di immigrazione ha fuso usanze e tendenze ed ecco che il cioccolato si abbina al marzapane, la salsiccia accompagna la pasta al sugo. E oltre ai rinomati sentieri che si snodano a ragnatela all’interno della regione, una forte tentazione è quella di montare in bicicletta e puntare dritti al lago di Costanza, circondato da una efficiente e suggestiva pista ciclabile. Forse l’inestinguibile tradizione si ritrova nascosta nelle vallate che scavano il massiccio del Giura, dove una semplice escursione in giornata restituisce una suggestiva fotografia del passato: case piccole e adatte a chi lavora, edifici ben saldi e senza fronzoli, pochi cortili e tappezzerie austere. L’anima dello svizzero lavoratore, poco humour e tanta lena.

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