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L’irresistibile fascino delle ghost town

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Ruderi, rocche, "scheletri" di insediamenti urbani che ricordano l’ossatura di una mano, borghi sommersi dalle acque che ricompaiono ogni anno. Dalla Toscana alla Lucania, le "ghost town" nostrane.

Le chiamano "città-fantasma". E già la definizione un po’ inquieta. Sono i centri abbandonati e deserti, senza abitanti e spesso immersi nella natura, di cui è piena l’Italia intera, e che mantengono un alone di fascino e di mistero. Luoghi magici (alcuni in buono stato, altri meno), per i loro silenzi, ma che risentono dell’eco della storia. Visitarli è come fare un viaggio nel tempo.

Ruderi, rocche, "scheletri" di insediamenti urbani che ricordano l’ossatura di una mano, borghi sommersi dalle acque che ricompaiono ogni anno. Dalla Toscana alla Lucania, le "ghost town" nostrane.

Le chiamano "città-fantasma". E già la definizione un po’ inquieta. Sono i centri abbandonati e deserti, senza abitanti e spesso immersi nella natura, di cui è piena l’Italia intera, e che mantengono un alone di fascino e di mistero. Luoghi magici (alcuni in buono stato, altri meno), per i loro silenzi, ma che risentono dell’eco della storia. Visitarli è come fare un viaggio nel tempo.

Addentrarsi tra le rovine, lungo le vecchie strade, dentro le chiese e le case squarciate, tra la vegetazione incolta, regala sempre una grande emozione.

Ecco che si possono fare ferie alternative alla scoperta delle "ghost town" italiane, per scoprire il passato e ritrovarsi ad immaginare come questi posti dovevano essere quando erano "vivi". Diverse le mete. Noi ve ne proponiamo dieci, a partire da Castro, nel Lazio.

"E’ una piccola città che è situata su un’altura ed ha la forma di una lira, è circondata da dirupi scoscesi e da una profonda valle. Le sue mura e gli inaccessibili dirupi nessuno potrebbe scalare se non con le ali. Cosicchè anticamente la cittadina fu chiamata con il nome di Castro Felice…": in questo modo, nell’anno 1575, il notaio Domenico Angeli descriveva la città di Castro, simbolo della potenza dei Farnese, istituito nel 1537 per volontà di Papa Paolo III. Ma è inutile cercare il paese sulla carta stradale. Di questo gioiello urbanistico del Rinascimento non è rimasto quasi nulla, se non ruderi misteriosi ed in gran parte nascosti da una fitta boscaglia. Dovete far lavorare solo la vostra immaginazione per ricostruire nella mente quello che fu un ricco ducato. E con la fantasia, passo dopo passo, si delineeranno i fastosi palazzi, le chiese, persino la zecca (su modello di quella tuttora esistente a Roma) che coniava la propria moneta. "Qui fu castro".

Una frase posta su un cippo, sintetizza quella che fu la triste vicenda del Ducato distrutto nel 1649, all’apice del suo lustro, da Papa Innocenzo X Pamphili, pietra per pietra, mattone per mattone – perché non si potessero riutilizzare – ed infine, come a Cartagine, sulle sue rovine fu sparso il sale, affinché mai più risorgesse. Si estendeva per circa 1200 Kmq, dal mare Tirreno fino ai confini con la Toscana e al lago di Bolsena. Passeggiando tra i sentieri, immersi in una straordinaria vegetazione, si possono ammirare alcuni resti ben visibili: basi delle colonne e dei capitelli, pezzi di marmo di edifici, osterie, case private. Della Zecca è rimasto il basamento bugnato in travertino, l’ingresso murato e parte della facciata. Colpiscono le macerie della Piazza Maggiore che costituiva il centro vitale della città, con la caratteristica pavimentazione a spina di pesce. 

 Un’altra tappa da non perdere è Craco, in Basilicata, l’antica "Graculum", inserito nella lista dei siti da salvaguardare nel mondo, redatta dal World Monuments Funds, ed abbandonato, a partire dal 1960, a seguito di un movimento franoso. Il borgo, un tutt’uno con la roccia (non è visitabile all’interno in quanto vige il divieto d’ingresso per la pericolosità delle case diroccate), è di una bellezza scenografica unica (tanto che molti registi, da Pasolini a Mel Gibson, hanno trovato un terreno fertile per ambientare i propri film), popolato solo da qualche capra intenta a brucare l’erba cresciuta nelle crepe dei pavimenti. Da ammirare, anche se da lontano, i resti della Torre Normanna, l’unico ricordo del castello, costruito su di una rupe a picco, visibile da quasi tutte le direzioni.

Sempre in regione, ma sul versante potentino, si trova un altro "paese fantasma", Campomaggiore Vecchio, un borgo drammaticamente segnato da un movimento franoso del 1885 che ne determinò il crollo, con il conseguente abbandono. Oggi è un luogo di strana bellezza, adocchiato dall’industria cinematografica che ne ha fatto il set per diversi documentari. L’ultimo in ordine di tempo è "Na Picca Appidun’ – Ad ognuno la sua parte! Cronaca di un’utopia franata", con la regia di Rocco Papaleo, che racconta la storia del conte Teodoro Rendina (i signori della città che lo fondarono nel 1741) e del suo sogno: quello di trasformare un piccolo villaggio in un centro abitato efficiente e dinamico. Un sogno che, grazie a tanto duro lavoro, diventò realta’. Si sviluppò cosi’, nel corso dell’Ottocento, una cittadina moderna ed ordinata, definita da alcuni "il paese dell’utopia sociale", che prosperò per circa un secolo, finché le forze della natura non si scatenarono contro di esso. Nella Piazza Rendina sono rimasti in piedi parti del palazzo baronale detto di "Rendina" e i resti della Chiesa di Santa Maria del Carmine.

Stessa sorte anche per Pentedattilo, nel sud della Calabria, vicino al mare. Prende il nome dalla forma tipica della roccia che sovrasta l’abitato e che ricorda le cinque dita di una mano.
 E’ stato negli anni ’60 che gli abitanti si sono spostati a valle, per la presunta pericolosità della rupe (il monte Calvario) dove sorge il paese. Passeggiando lungo le vie del borgo si è avvolti da un’atmosfera agreste e si respira il profumo delle ginestre.

La storia di Roscigno vecchia, paese nel massiccio degli Alburni, in provincia di Salerno, è molto simile. Fu costretto allo sgombero da due ordinanze del Genio Civile del 1907 e del 1908, per la minaccia di una frana che si credeva potesse radere al suolo l’intera cittadina. A malincuore gli abitanti si trasferirono, trasformando Roscigno in un paese museo. Da allora tutto è rimasto uguale. Cuore del villaggio è ancora la piazza dedicata a Giovanni Nicotera, su cui si affacciano le basse case dei contadini e degli artigiani, dai portali riccamente decorati. Tra i resti delle botteghe si notano le insegne dei primi del Novecento, mentre nell’ex casa canonica si può visitare il museo della civiltà contadina.

In Abruzzo, nel Parco del Gran Sasso, si trova un altro bel borgo solitario: Rocca Calascio, a oltre 1500 metri di altitudine, una delle rocche più fotografate d’Italia. Il vecchio merlato ricanta ad ogni ora la sua antica potenza: svolgeva un’importante funzione di sorveglianza dei tratturi per la transumanza del bestiame. Tra le pellicole, che hanno sfruttato gli scenari naturali del luogo, torna alla mente Lady Hawk (1985, di Richard Donner) con Michel Pfeiffer. Visibili sono solo i ruderi e i resti del borgo sottostante, al quale il castello è collegato attraverso un ponte di legno. Alla bellezza del territorio si aggiunge l’eleganza del tempietto di Santa Maria della Pietà, a pianta ottogonale, poco distante. Da qui lo sguardo spazia sull’intera vallata.

Per vivere un altro pezzo di storia si va a Poggioreale, nella valle del Belice, tra Agrigento, Trapani e Palermo. La zona subì un violento terremoto nel gennaio del 1968 e Poggioreale fu uno dei centri maggiormente colpiti. Camminando lungo i viali si ritrovano persiane sfondate, tetti diroccati, qualche foglio di giornale che vola tra le macerie, qualche scarpa appartenuta a chissà chi. Eppure, addentrandosi tra le rovine, si ha quasi l’impressione di "sentirla" quella vita che un tempo scorreva lungo questi viali.

In Sardegna, nel territorio ogliastrino, si trovano disseminate rovine di diversi paesi che per vari motivi (pestilenze, alluvioni, faide) sono stati abbandonati. I più conosciuti sono Gairo e Osini Vecchio, di grande suggestione. A Gairo (sgomberato per le frequenti piogge autunnali del 1951 e del 1953) tutto è rimasto com’era un tempo. E si possono ammirare ancora le porte colorate di calce azzurra o rossa, secondo la consuetudine di quegli anni. Anche Osini fu abbandonato tra il 1951 e il 1960 in seguito a una terribile alluvione. Colpiscono le case vuote dagli occhi ciechi, per le porte e le finestre mancanti.

Infine da segnalare Fabbriche di Careggine, in Garfagnana ai piedi delle Alpi Apuane, un paese, sorto nel 1200, che si può visitare solo ogni dieci anni (la prossima volta dovrebbe essere nel 2014) perché è sommerso dal lago di Vagli e riappare solo quando il lago stesso viene svuotato per ripulire la diga che lo sbarra. Si racconta che durante le notti di plenilunio si può udire il suono della campana della chiesa.

Fonte: www.repubblica.it

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