Viaggi

La nuova Singapore

Condividi questo articolo su :

Nell’arco della stessa giornata si può nuotare in una piscina a sfioro sospesi a 200 mt da terra, andare in barca in un mall lussuoso e salire in ascensore su di un albero. Singapore non ha mezzi termini: stupisce, in barba alla sua fama passata di metropoli efficiente e rigorosa. In linea invece con le aspirazioni dei suoi abitanti. Nel settembre 2013, infatti, Straits Times, quotidiano locale in lingua inglese, ha pubblicato i risultati di un sondaggio dell’istituto Osc (Our Singapore Conversation): i singaporeani vogliono take it slow, cioè “prendersela con calma”, meno stress e competitività e più tempo libero e qualità della vita.

Nell’arco della stessa giornata si può nuotare in una piscina a sfioro sospesi a 200 mt da terra, andare in barca in un mall lussuoso e salire in ascensore su di un albero. Singapore non ha mezzi termini: stupisce, in barba alla sua fama passata di metropoli efficiente e rigorosa. In linea invece con le aspirazioni dei suoi abitanti. Nel settembre 2013, infatti, Straits Times, quotidiano locale in lingua inglese, ha pubblicato i risultati di un sondaggio dell’istituto Osc (Our Singapore Conversation): i singaporeani vogliono take it slow, cioè “prendersela con calma”, meno stress e competitività e più tempo libero e qualità della vita.

Singapura, la città del Leone, dunque, cambia alla velocità della luce e si trasforma nella città-stato del futuro a misura d’uomo: non solo hub del business, ma hub anche del divertimento. Resta uguale solo la sua anima multietnica, immutata da quando, ai primi dell’800, Sir Stanford Raffles, ammiraglio di Sua Maestà Britannica, fece di quest’isola malese porto franco e ne dettò lo sviluppo urbano. Chinatown, little India, il quartiere malese Kampong Glam, e il Colonial District compongono un centro storico vivace di shophouse, le case a due piani cinesi in stile barocco, grandi palazzi coloniali, templi hindu e buddhisti e centri hawker, i grandi capannoni di street food dove ogni comunità ha il suo luogo di ritrovo davanti a una zuppa di noodles o ad un riso biryani.

Intorno al suo nucleo tradizionale, però, la città di oggi non è più quella di pochi anni fa, a partire dal suo skyline. Adesso, infatti, la baia è chiusa sul mare dal grande fiore di loto sede dell’Art Science Museum e dalle tre torri del Marina Bay Sands (1 Bayfront ave). Alla base c’è un mall di lusso, dove le maggiori griffes si contendono un negozio (una addirittura ha sede su di un’isola-boutique, nella baia), dove fare una pausa in una food court (1 Bayfront ave – Canal level) affollata di chioschi in versione gourmet di cucine da tutta l’Asia, dove pattinare su di una pista di ghiaccio artificiale o fare una romantica gita in barca sui canali che percorrono le gallerie commerciali. Le torri, un hotel cinque stelle, sono unite al 57° piano da una terrazza a forma di nave, lo SkyPark, sede di una fantasmagorica piscina sfioro e di un disco-bar-ristorante, il Ku Dé Ta (1 Bayfront ave – Skypark), dove la sera si da appuntamento per ballare un popolo cosmopolita, fra bellezze malesi, imprenditori indiani e ufficiali di marina inglesi.

Da questo punto di osservazione privilegiato è straordinario il colpo d’occhio sulla realizzazione che proietta immediatamente Singapore nel futuro, i Gardens By The Bay (18 Marina Gardens drive). Cento ettari di terra strappata all’Oceano Indiano, 400 milioni di investimento, un milione di visitatori nel primo mese di apertura nel 2012, per le due mega serre senza pilastri più grandi del mondo dalle forme sinuose. Ospitano una foresta pluviale verticale e tutti i microambienti del Pianeta e le tecnologie più avanzate le rendono gioielli di eco-sostenibilità, premiati come “World Building of the Year” dal World Architecture Festival 2012. La natura, cacciata dalla cementificazione, ritorna qui prepotentemente, ricreata dall’ingegno umano. Lo dimostrano i Super-trees, 18 alberi artificiali di acciaio e cemento alti 25 e 50 mt, ricoperti da una fitta vegetazione rampicante: grazie a migliaia di cellule fotovoltaiche, sono le “batterie” che alimentano l’intero parco. Con un’ascensore nascosto nel “tronco” di uno di essi si raggiunge un’aerea passerella che li collega per una passeggiata da fantascienza. Addirittura si può pranzare nel ristorante sulla cima del super albero più alto, gustando le specialità asiatiche di IndoChine (18 Marina Gardens drive), e ammirando lo spettacolo di suoni e luci che ogni sera li infiamma. Per i foodies accaniti, invece, in un inusuale ambiente mediterraneo del Flowers Dome, la serra dei microclimi, si trova il Pollen (18 Marina Gardens drive), ristorante dalle atmosfere di un’isola greca dello chef stellato Michelin Jason Atherton.

Il nuovo corso stilish di Singapore coinvolge tutta la città, che la sera si accende delle luci dei molti locali. Una delle mete più cool è Clarke Quay (River Valley rd), diventata zona pedonale lungo le anse del fiume Singapore, dove fino a tarda notte si può scegliere, nel giro di pochi passi, fra un jazz club o le tapas spagnole, la cucina kaiseki giapponese o la pizza italiana nei vecchi magazzini portuali o sulle barche. Se però si vuole un’esperienza gastronomico-antropologica, bisogna scovare un locale di cibo Peranakan e non è così facile. È la cucina dei cinesi che dal ‘700 si insediarono negli stretti che dividono l’isola dalla Malesia, sposando donne malesi e diventando “mezza casta”, peranakan, appunto. Questa fusion ante litteram offrirà sensazioni forti agli amanti dello speziato e si mangia al meglio da The Blue Ginger (97 Pagar rd), in un classica shophouse su due piani a Tanjong, quartiere che brulica di negozietti di abiti da sposa, lounge bar e bistrot. Per una fusion fra oriente ed occidente, invece, in un ambiente minimal elegante, molto frequentato dalla gioventù dorata singaporeana, c’è il Wild Rocket (10A Upper Wilkie rd). Lo chef è un ex avvocato con la passione gastronomica che cucina “sin mod”, Singapore modern: sapori della sua infanzia, riletti con gusto cosmopolita.

Per l’ora dell’aperitivo due classici: quello “con vista” al Lantern, in cima al Fullerton Bay (80 Collyer quay), la dependance sulla baia del sontuoso hotel Fullerton. Quello “storico”, invece, è il Singapore Sling, il cocktail rosa dedicato alle signore da un bartender cinese nel 1936, sorseggiato direttamente dove nacque, al fascinoso Long Bar del Raffles (1 Beach rd), albergo-icona di stile coloniale. In alternativa il bere miscelato del futuro: al Tippling Club (8D Dampsey rd), bevendo cocktail profumati, belli da vedere e originalissimi serviti direttamente al bancone insieme alle geniali creazioni dello chef inglese Ryan Clift, giovane, stellato Michelin, tatuatissimo, un po’ rocker. Una vera esperienza.

La nightlife singaporeana prosegue fino all’alba e per adeguarsi bisogna fare un salto allo Zouk (17 Jiak Kim st) lungo il fiume, che da modesta discoteca è oggi un tempio della dance internazionale, e spesso ospita i più famosi dj del Mondo. Gli amanti dell’hip hop invece, non devono perdersi il Butter Factory (1 Fullerton rd), club leggendario per lo stile metropolitano, i graffiti e una piscina come pista da ballo. Per concludere a tardissima ora, il St James Power Station (3 Sentosa Gateway), mette tutti d’accordo: è il più grande club in città, con 10 sale e 10 generi musicali, dal jazz allo swing., dal rock al soul e all’afro-latino. Se la movida fa tirare l’alba tanto vale fare colazione. Niente cappuccino e briosche, si va in un Hawker, come il Lau Pa Sat (18 Raffles Quay) o il Maxwell Centre (1 Kadayallanur st.), per una frittata di ostriche o un hainanese chicken rice.

Fonte articolo originale

Condividi questo articolo su :

Benvenuto su ZonaViaggi.it !

Tieniti sempre informato sulle nostre novità seguendoci sui social