C’è un altro Salento oltre quello delle vacanze ed è pieno di case strane
C’è il Salento sole-mare-vento consumato ogni anno da milioni di turisti, il Salento delle signore inglesi stufe del Chiantishire, che scendono a riqualificare le masserie con spirito avventuroso come ha fatto l’attrice Helen Mirren e poi c’è un terzo Salento, che quasi nessuno conosce, messo per la prima volta sotto gli occhi di tutti, compresi i pugliesi infedeli come me. È un Salento moderno, come dice il titolo del libro di Humboldt Books curato da Davide Giannella e Massimo Torrigiani, “un inventario di abitazioni private nel sud della Puglia”, spiega il sottotitolo. Un modo anche troppo discreto di indicare quel che si vede sfogliandolo: una collezione fotografica di case, villini e castelletti dalle forme strane e fantasiose, dove i tetti non fanno necessariamente da tetto e le colonne non fanno necessariamente da colonna. Non riparano e non sorreggono nulla.
Guardando le immagini prima ancora di farsi domande, si vedono pareti innalzate senza necessità apparente, magari con un oblò nel mezzo con la stessa mancanza di scopo, feritoie che non servono a far entrare la luce, ma forse solo per aggiungere una linea, messa lì “per bellezza”, ingressi ricurvi e spettacolari, scale a chiocciola che salgono in cielo. Allontanandosi dal dettaglio, la perplessità resta: molte case hanno forme illogiche, asimmetriche e nei casi peggiori sgraziate, eppure sono bellissime da guardare.
Massimo Torrigiani, uno dei due curatori, le chiama giustamente “case a piacere”, volute così dai proprietari senza il progetto di un architetto pronto a castigare le richieste inopportune di ornamenti inutili. Una cosa da far arrabbiare progettisti e ingegneri, anche i più creativi come Carlo Emilio Gadda, che nella Cognizione del dolore se la prendeva con la libera interpretazione dell’architettura fai da te, tutta centrata sull’estetica e tutta contro il funzionale: “Era passato l’umberto e il guglielmo e il neoclassico e il neo-neoclassico e l’impero e il secondo impero; il liberty, il floreale, il corinzio, il pompeiano, l’angioino, l’egizio-sommaruga e il coppedè-alessio”. Non si salva neanche il razionalissimo Novecento, visto che tutte le case raccolte su Salento moderno e fotografate da Allegra Martin, Antonio Ottomanelli e Emanuele Colombo sono nate a partire dagli anni 50, appena prima del boom edilizio che ha cambiato il volto dell’Italia.
Ma è arrivato il momento della domanda spontanea: perché ci sono case così? “La maggioranza delle abitazioni che abbiamo raccolto è il frutto della volontà diretta dei proprietari, aiutati dalle imprese edili e dai geometri locali”, spiega il co-curatore del libro Davide Giannella, “nessuna di queste abitazioni ha visto l’intervento di un architetto”. Un fenomeno familiare in tutta Italia, che fa pensare d’istinto alla diffusione dell’abusivismo. “È probabile che tra le case che abbiamo scelto ce ne siano di abusive”, precisa Massimo Torrigiani, “ma la maggior parte non lo sono. Le hanno costruite legalmente, rispettando i piani regolatori dove c’erano e aspettando le approvazioni degli uffici competenti”.
Il Salento come eccezione. L’area di cui stiamo parlando è il triangolo a sud di Lecce compreso tra San Foca a est, Porto Cesareo a ovest, sullo Ionio, e la punta di Santa Maria di Leuca. Un triangolo che costituisce comunque un caso unico in Italia, anche se a molti possono venire in mente le licenze architettoniche che spesso vediamo nei paesi della costa in Liguria o in Romagna. “Ci sono realtà simili a quella salentina ma in maniera del tutto circostanziata, soprattutto in aree dove sono mancati dei piani regolatori dettagliati che creassero omogeneità estetica. Queste realtà non hanno nulla a che vedere con la complessità, la vastità e la varietà del fenomeno indagato nel libro”, spiega Giannella.
A dire il vero, a proposito di case a piacere e dettagli voluti per bellezza mi sarei aspettato molte più colonne, archi e statue: siamo comunque in Magna Grecia. “Queste scelte sono in continuità con le tradizioni ornamentali, artigianali e edilizie dei luoghi”, continua Giannella, “già il Barocco, a livello locale, non era altro che l’applicazione di superfici ornamentali su strutture greco-romane o arabe preesistenti”. Questo è il codice segreto che spinge a voler decorare qualcosa per sé ma anche per chi guarda da fuori, un fenomeno che si verifica anche quando la casa è moderna: “Prendiamo un dettaglio contemporaneo ad esempio: i serramenti in alluminio anodizzato presenti in tutta Italia. Da nessun’altra parte quell’elemento viene elaborato e personalizzato in maniera sartoriale come in Puglia”.
Molte case saranno anche esagerate, o semplicemente strane, a qualcuno sembreranno un pugno in un occhio e altri ne apprezzeranno la bizzarria individualista, la spinta a esibire una casa come non ce l’ha nessuno, ma non sono anche impossibili da usare e abitare? “Tra le case ritratte ce ne sono sicuramente alcune concepite in maniera non propriamente razionale”, concorda Giannella, “ma questo non fa che sottolineare la volontà di far prevalere l’aspetto estetico rispetto a quello pratico, che potrebbe dare risultati più anonimi”.
La volontà di rappresentarsi attraverso l’aspetto esteriore della propria casa è comprensibile, forse spiega quell’esigenza della classe media, dalla piccola borghesia in su, di mostrare il proprio successo o il proprio gusto come facevano i consumi e gli stili dei ricchi raccontati dal sociologo Pierre Bourdieu, un’aristocrazia del denaro che ricorreva alle bizzarrie personali per segnalare una distinzione dalla massa. Ma l’architettura vistosa non è un semplice fenomeno da arricchiti o sognatori di immense fortune: “Parlando con i diversi proprietari ci è stata fatta intendere una differenza sostanziale tra interno e esterno”, dice Giannella, “fuori c’è un’attenzione enorme ai particolari e alla rappresentazione di sé, dentro ci sono spazi più pratici e razionali”.
Giannella fa notare come molte scelte esteriori abbiano comunque delle motivazioni interiori profonde, quasi sentimentali: “Alcune scelte stilistiche sono state dettate dall’immigrazione di ritorno dei salentini, persone che probabilmente hanno sviluppato un gusto per l’edilizia vista e vissuta in Svizzera, in Germania, in Belgio, riferimenti che una volta a casa hanno commissionato al gusto locale”. Dietro l’estetica si nasconde quell’attaccamento emotivo alle proprie esperienze, alla propria storia. Forse è per questo che non bisogna liquidare come kitsch le case di Salento moderno, non nell’accezione negativa che quella parola ha per tutti.
Se queste case sono kitsch non lo sono nel senso di “cattivo gusto”, ma di personalizzazione estrema che si ribella alle leggi estetiche dei saperi esperti, come quello degli architetti e dei critici del design. Il senso della misura e del ritegno borghese viene ignorato a favore di una dismisura sentimentale, che in fondo fa tenerezza: “più che l’apparenza delle cose, conta la trama delle intenzioni di chi quelle cose le fa”, aggiunge Massimo Torrigiani. Da panoramica estetica le case del Salento diventano un racconto delle piccole vite che hanno trovato questo modo di raccontarsi autonomamente, e introducono anche una questione di classe. Di coscienza di classe. “Credo che in parte il disprezzo per queste case sia quello che la maggior parte dei nobili e dei borghesi nutre per i cafoni arricchiti, come se le storie della maggior parte di noi e delle nostre famiglie non fossero alla fine tutte storie di trasformazione e emancipazione”.
L’esibizione dell’emancipazione deve passare sempre per l’esagerazione? Non si potrebbero imitare in maniera più astuta quelli nati ricchi, che sembrano amare di più il minimalismo funzionale? Dobbiamo far impazzire anche il modernismo più asciutto e monacale? “Cultura e pauperismo sono forme di distinzione come le altre”, dice Torrigiani, “una battaglia tra snob. Se vogliamo, è kitsch anche la pseudo-filologia delle case e delle masserie di signore in tunica e signori in caftano. C’è qualcosa di più kitsch del discorso sul folk e l’autenticità, soprattutto quando si parla di turismo e vacanze?”.
Siamo tornati alle dame inglesi che hanno trovato un nuovo Chianti da arredare, alle masserie recuperate in nome dell’autentico. Messo accanto alle case oggettivamente belle, il piccolo esercito di villini festosi di Salento moderno potrebbe alimentare un dibattito su una muta lotta di classe, passando per il gusto. “Trovo divertente che si dica che sui gusti non si può discutere, quando in realtà per stare al mondo non facciamo altro”, conclude Massimo Torrigiani, “il gusto è una forma di autodifesa. E di attacco”.