Perché la Nuova Zelanda scompare dalle mappe?
Ikea ha messo in vendita una carta mondiale in cui manca la Nuova Zelanda: non è la prima volta e non è una questione di distrazione.
Succede da sempre e le ragioni sono profondissime: le isole, nell’immaginario comune, contano meno. Anzi, detto meglio, sono spazi diversi, distanti e non si tratta di distanze geografiche (gli aerei arrivano con tutta tranquillità anche negli aeroporti isolani), ma culturali. Tra i continentali e gli isolani il rapporto è ancora di alterità, e questo nonostante globalizzazione, internet, comunicazioni istantanee e voli low cost.
Le due notizie comparse qualche giorno fa riguardanti Ikea, la grande multinazionale svedese, facevano sorridere. La prima notizia era di un’imminente apertura della prima sede neozelandese, la seconda è che una mappa venduta in milioni di copie proprio da Ikea, incredibilmente non comprendeva la stessa Nuova Zelanda. Può sembrare una coincidenza sfortunata, una dimenticanza sommata a un’imminente nuova apertura, ma non lo è. Le notizie, semmai, sono strettamente correlate, e non certo in nome del caso, ma in nome della causa che le ha determinate. Entrambe, infatti, hanno a che fare con la condizione di distanza con cui vengono percepite ancora oggi le isole. La Nuova Zelanda è uno degli ultimi stati industrializzati in cui Ikea non aveva una sede? Di certo è, almeno in parte, per via dell’insularità. Il team di grafici, manager, designer e via dicendo non ha notato l’assenza della Nuova Zelanda nella mappa se non quando sono arrivate le prime lamentele? Il motivo è lo stesso: l’insularità e la sua percezione (sarebbe meglio dire non-percezione).
Il risultato di questa condizione? Che nel nuovo negozio Ikea di Auckland si venderanno le “Bjorksta”, cioè le nuove mappe Ikea senza la Nuova Zelanda, e quindi anche senza la sua capitale. Suona come un cortocircuito perché lo è. Ma se si viene da un’isola la notizia non suona così strana, e se si viene da un paese non industrializzato, o in via di sviluppo (quello che un tempo si sarebbe definito “terzo mondo”) lo è ancora meno: li si è abituati a essere dimenticati, a non esistere per lo sguardo del mondo. L’attenzione di chi conta tende a concentrarsi sugli spazi del proprio territorio, e i restanti al contrario vengono dimenticati con facilità. Una mappa senza Roma non esiste di certo. Non è un errore che i grafici di Ikea avrebbero mai potuto far passare inosservato per chissà quanti “check” del prodotto.
Senza Roma no, ma senza Cagliari? Certo che sì, ed essendoci nato posso testimoniarlo in prima persona. Mi basta anche solo appellarmi ai primi ricordi d’infanzia: telegiornali in cui nella mappa della sigla, o in quella alle spalle del presentatore, non c’era la Sardegna ne avrò visti a decine. Il motivo è semplicissimo: ciò che è periferico riceve meno attenzioni, meno considerazioni, viene incluso in meno libri, meno fumetti, meno narrazioni e per effetto diretto è conosciuto meno. E ciò che è conosciuto meno, va da sé, può essere dimenticato, ignorato, eliminato dalle mappe (non importa se più o meno consapevolmente, non è una questione di vittimismo, ma di sottolineature dell’importanza che diamo ai luoghi e ai popoli).
Quando gli stati europei erano ancora felicemente guerrafondai avevano bisogno di soldati: persone da mandare a morire in conflitti utili – si sperava – a conquistare territori o risorse (o entrambi). Le isole, però, sono luoghi poco popolati, quindi non venivano messe in conto, non erano importanti perché non davano al regno o all’impero i numeri di combattenti utili. Eccolo uno dei motivi storici per cui isola è sinonimo di marginalità. Puro funzionalismo.
Proviamo ad andare a ritroso nella catena causale: perché le isole sono meno popolate? Lo sono storicamente visto che, nei millenni in cui le popolazioni della terra non conoscevano grandi tecnologie di navigazione, erano difficili da raggiungere. Così Sardegna, Islanda, Irlanda, Australia, Madagascar, Nuova Zelanda e mille altre isole sono rimaste, appunto, isolate.
E in questa catena causale lunga quanto è lunga la storia dell’uomo il residuo dell’isolamento geografico rimane ancora oggi. Rimangono le differenze culturali, l’arretratezza di certi territori, rimangono le malattie e i difetti genetici tipici dell’insularità (non serve citare Darwin e il gigantismo insulare capito appieno solo alle Galápagos, basta il favismo sardo o l’anemia mediterranea).
Tra le mille scorie di questo residuo di storia ci sono due grandi categorie di informazioni: le prime sono quelle apparentemente ridicole, come l’errore di Ikea e la sua mappa monca, la Bjorksta. Le seconde sono quelle profonde, quelle che ci ricordano che la globalizzazione e la tecnologia non riescono – e non riusciranno nemmeno a breve – a colmare l’enormità delle differenze culturali e biologiche dovute alla struttura della Terra e delle sue terre emerse. Il bello è che le prime e le seconde sono figlie della stessa madre.
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